Il fondaco nudo by Domenico Rea

Il fondaco nudo by Domenico Rea

autore:Domenico Rea [Rea, Domenico]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858791257
editore: 2024 Giunti Editore S.p.A. / Bompiani


INIZIO DELLA VENDITA A RATE

Il padre era seduto nella poltrona della sua vecchia camera matrimoniale. I quattro figli andavano e venivano per tener dietro a un’animata discussione. Passavano dalla stanza da pranzo al corridoio e da questo alla camera da letto quando volevano evitare di fargli sentire certe cose che era meglio rimanessero tra loro... Il vecchio aveva intuito che un suo qualsiasi intervento sarebbe stato inutile.

“Tu non c’entri” gli aveva detto Raffaele. “La cosa riguarda noi e in ogni caso oggi sarà presa una decisione.”

Vincenzo, l’altro fratello, si dimostrò d’accordo con il primogenito e aggiunse:

“Oggi dobbiamo lasciarci con una decisione, a tutti i costi.”

“Scriviamo tutto per benino” suggerì Gilda, la sorella, “così non vi potranno essere malintesi.”

Il quarto figlio, Nicola, medico condotto, osservò come al solito, un rigido silenzio. Provava un senso di fastidio per i suoi fratelli e sentiva un’acuta comprensione per quel padre, burbero e severo quanto si voglia, ma che non si era mai fatto indietro di fronte a nessun ostacolo pur di riuscire a dare ai figli un nome e cognome.

Raffaele aveva avuto un’infanzia e una giovinezza sacrificate. Diplomatosi in ragioneria aveva dovuto a sua volta gareggiare con il padre, un impiegato di banca, nell’aiutare a mantenere agli studi gli altri fratelli. Ciò nonostante, Raffaele aveva dimenticato; e pur di giungere a una composizione equanime della vertenza non voleva usare l’odiosa tecnica del ricatto.

Per il “letto di giustizia” in corso, Vincenzo era venuto da Milano, Gilda, maestra elementare, da Firenze, dove viveva con il marito, segretario capo delle FF.SS., e Nicola, non senza difficoltà di allontanarsi dalla “coatta” clientela, da Viterbo.

“Un medico condotto” stava appunto dicendo “è come condannato a vita.”

“Credi che noi siamo venuti a divertirci quaggiù?” disse la sorella.

Era un giorno d’estate e Nofi, affondata tra Monte Albino e San Pantaleone, sembrava un deposito d’acqua stagnante, un canale abbandonato in una marcia umidità, mista agli espurghi degli scarichi delle sue fabbriche di pomodori. La casa era all’ombra e il vecchio aveva ancora cravatta e bottoni neri per il lutto della “vecchia”, come negli ultimi tempi i figli avevano preso il vezzo di chiamare la madre. S’intende, per gioco, all’americana. Il padre, lui presente, lo chiamavano papà; assente, il vecchio. Ora la parola era ritornata a Raffaele.

“Signori” disse con sussiego per l’abitudine contratta nei quotidiani consigli di fabbrica della grande azienda di cui era ragioniere capo “signori, onestamente, potrei dire basta. Ma quel che è stato è stato...”

“Intanto cominci a rinfacciare” lo interruppe la sorella.

“... Quel che è stato è stato” riprese a dire Raffaele “ma non dovete abusare ulteriormente del mio affetto filiale per il semplice fatto che sono l’unico a essere rimasto a Nofi. Ora è tempo di dimostrare a vostra volta di essere dei buoni figli e dei fratelli comprensivi.”

“Non continuare” disse Vincenzo. “Lo avrei ‘portato’ da tempo a Milano. Ma in questo caso commetteremmo un delitto. Il vecchio vuol restare a Nofi. Milano, lo sapete, è una metropoli. Poi, mia moglie, la conoscete...”

“Ora ti avvicini all’argomento...”

“È vero, non lo nascondo, mia moglie è una straniera, una mezza tedesca ed è abituata a un altro sistema.



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